La Festa dei Morti in Sicilia ha origini lontane ed è legata alla tradizione Cristiana. L’esaltazione della vita e della spensieratezza si impara sin da piccoli.

Naque come Capodanno Celtico e fu trasformata in festa religiosa. La festa dei Morti in Sicilia è l’occasione per commemorare i propri cari, ma soprattutto per insegnare ai bambini a non aver paura della morte. I suoi riti sono però minati dal consumismo e dal sopravvento di Halloween.

L’importanza della Festa dei Morti e il perchè sta cambiando le sue caratteristiche

Sciascia diceva che:

“il Cristianesimo consentiva quelle esplosioni propriamente pagane, nel senso più corrente che ha la parola paganesimo; quei riti, quelle feste, quella proiezione e personificazione di materiali e carnali istanze dei miti; quella scelta e designazione dei mitici, ma al tempo stesso protettori”.

La definizione sembra calzare a pennello per una festa come quella di “Tutti i Santi”, considerata tutt’uno con la “Festa dei morti”; giornata apparentemente dedicata al lutto e il dolore, ma che in Sicilia è vista come festa gioiosa, dedicata soprattutto ai bambini e strettamente legata al valore simbolico del cibo.

La Festa dei Morti e la sua funzione ludica – istruttiva della festa e dei suoi riti:

“Il primo novembre è la giornata in cui la società siciliana decide che occorre impartire ai bambini una educazione finalizzata al rispetto dei propri morti. Educazione tesa anche all’esaltazione dell’identità familiare (anche se poi a portare i doni non è “il nonno defunto”, ma “i morti” in senso generico). Da dove veniamo si può dire in tanti modi. Potremmo dire che è una festa dalle origini molto antiche che si basa sul concetto del dono”.

Le origini risalgono all’anno 835 D.C., quando papa Gregorio II, visto che la chiesa cattolica non riusciva a sradicare gli antichi culti pagani legati alla tradizione celtica (il cui calendario indicava nel 31 ottobre l’ultimo giorno dell’anno), spostò la festa di “Tutti i Santi” dal 13 maggio al primo novembre con la speranza di riuscire, così, a dare un nuovo significato ai riti profani.

Secondo l’anno druidico, il 1 novembre era il Samhain, letteralmente “tutte le anime” fine dell’anno pastorale e primo giorno d’inverno, in cui la notte era più lunga del giorno. Questa particolarità permetteva al principe delle tenebre di chiamare a sé tutti gli spiriti e poter passare da un mondo all’altro. L’intento del papa di sradicare questo mito non riuscì. La chiesa aggiunse quindi, nel X secolo, la “Festa dei Morti” il 2 novembre, in memoria delle anime degli scomparsi.

I festeggiamenti della Festa dei Morti avvenivano tramite offerta di cibo, mascheramenti e falò, le usanze profane così giustificate.

Nel passaggio, leggenda vuole che i morti rubassero ai ricchi pasticcieri, fruttivendoli, commercianti, per lasciare regali ai propri cari in vita. Da qui nasce la tradizione della “caccia al tesoro” o di “apparrai i scarpi” per i bambini.

Il valore educativo sta proprio nel rompere la soglia della paura col mondo dei morti. Cala la soglia di mistero tra i vivi e i defunti. Ai bambini si dice che i morti vogliono loro bene, non devono aver timore di coloro che gli portano in dono quello che di più bello possono desiderare: giocattoli e dolci.

Oltre a giocattoli di ogni sorta, esiste l’usanza di regalare scarpe nuove, talvolta piene di dolcetti, come i particolari biscotti tipici di questa festa: i crozzi ‘i mottu (ossa di morto) o i pupatelli ripieni di mandorle tostate, i taralli ciambelle rivestite di glassa zuccherata, i nucatoli e i Tetù bianchi e marroni, i primi velati di zucchero, i secondi di polvere di cacao.

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Frutta secca e cioccolatini, accompagnano ‘U Cannistru’, un cesto ricolmo di primizie di stagione, frutta secca altri dolciumi come la frutta di martorana ei Pupi ri zuccaru statuette di zucchero dipinte, ritraenti figure tradizionali come i Paladini.
Tradizione esclusivamente palermitana, vengono chiamati “pupi a cena” o “pupaccena”, per via di una leggenda che narra di un nobile arabo caduto in miseria, che li offrì ai suoi ospiti per sopperire alla mancanza di cibo prelibato.
In alcune parti della Sicilia viene preparata la muffoletta, pagnottella calda appena sfornata “cunzata”, la mattina nel giorno della commemorazione dei defunti, con olio, sale, pepe e origano, filetti di acciuga sott’olio e qualche fettina di formaggio primosale.

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La “caccia al tesoro” del 2 mattina si chiamava infatti “cercare i morti/ trovare i morti”: tipica era la frase nel ritrovamento de “li cosi di morti”/i doni “Ccà su”/qua sono. Quella di “apparare i scarpi” consisteva invece nel sistemare le scarpe vecchie in un angolo della casa, o in tempi più antichi addirittura disseminandole per il paese, per ritrovarle la mattina colme di dolci o sostituite da scarpine di zucchero o addirittura nuove.

Il tutto si basa su quel concetto del dono che nella vita di tutti i giorni è resa con la frase “è solo un pensiero”.

I genitori estrinsecano il loro amore dicendo che il regalo lo portano i morti, ma in questo modo veicolano anche il messaggio importante della tradizione e dell’appartenenza, insegnando loro a vivere un rapporto tranquillo con la morte.

Lezione che, nella cultura siciliana, avviene anche tramite l’esorcizzazione di un luogo come il cimitero. Insieme ai bambini si vanno a trovare i propri cari al camposanto, anticamente addirittura si mangiava sulla tomba o nella cappella di famiglia, tradizione in seguito proibita da un editto papale, ma tuttora viva in certi paesi della Calabria.”

Oggi la Festa dei morti per i bambini è un secondo carnevale piuttosto che un’epifania. Il consumismo e la globalizzazione hanno preso il sopravvento sulla trasmissione delle memorie.

Ultimamente si assiste al sopravvento della Festa di Halloween sulle vecchie usanze nostrane, perchè le tradizioni non sono eterne. Se tra quarant’anni ci sarà una società che dimenticherà “i morti” per assumere Halloween, vorrà dire che quella festa non era più funzionale né fruibile. Non è “peccato”, semplicemente non è più indispensabile e allora si sostituisce e si cambia.

Aveva ragione Sciascia, allora, quando rispose alla domanda “cosa è una festa religiosa in Sicilia?” scrivendo:

“Sarebbe facile rispondere che è tutto, tranne che una festa religiosa. È innanzitutto una esplosione esistenziale; l’esplosione dell’es collettivo, in un paese dove la collettività esiste soltanto a livello dell’es.
Poiché è soltanto nella festa che il siciliano esce dalla sua condizione di uomo solo, che è poi la condizione del suo vigile e doloroso super io, per ritrovarsi parte di un ceto, di una classe, di una città.”

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